Sezione 1 - Al Caffè Michelangiolo
Il Caffè Michelangiolo in via Larga, nei pressi di Piazza del Duomo, svolge nella Firenze granducale il ruolo di ritrovo alternativo per intellettuali, patrioti e artisti che lì amano mescolarsi ai “capi ameni”, ossia tipi stravaganti di estrazione popolare e non, dando vita a una società in cui lo scherzo e la facezia tengono testa alle più serie discussioni. Nel 1855 vi fa ingresso una nuova generazione di pittori che si definiscono “progressisti” e il cui primo obiettivo è quello di prendere le distanze proprio dall’istituzione in cui si sono formati: l’Accademia di Belle Arti. Ecco perché il Caffè Michelangiolo da subito appare a quella generazione di pittori e al loro stretto entourage di intellettuali e sostenitori (Giosuè Carducci, Gustavo Uzielli, Diego Martelli ed altri) il luogo ideale per crescere e per svincolarsi dalle “pedanterie” accademiche. Il loro obiettivo è quello di arrivare a esprimere il proprio sentimento attuale di giovani uomini animati da profonde idealità patriottiche e artistiche attraverso forme d’arte più moderne e condivise. Vogliono confrontarsi con realtà diverse da quella italiana, ancora frammentata e dunque si preparano ad accogliere quanti, anche solo di passaggio in Toscana, possano apportare un qualche stimolo o una nota di condivisione: Edgar Degas e Gustave Moreau, Marcellin Desboutin e lo scrittore Georges Lafenestre, Auguste Gendron, l’americano Elihu Vedder sono soltanto alcuni tra quanti stranieri transitano dal Michelangiolo. Esuli dal Regno delle Due Sicilie e perseguitati dalla polizia borbonica approdano al Michelangiolo anche Saverio Altamura di Foggia e Domenico Morelli di Napoli, due pittori che segnano profondamente la vita artistica del Caffè fiorentino. Nei primissimi momenti della loro vita al Michelangiolo è stato inevitabile per il gruppo dei progressisti convogliare i propri sforzi intorno al quadro di soggetto storico, perché impossibilitati a liberarsi dal pregiudizio – invalso lungo i decenni del Neoclassicismo e del Romanticismo – che solo quel genere figurativo possa veicolare una ricerca seria e meritevole. L’attualità del loro sentire però non trova piena espressione nella finzione storica e la verosimiglianza a tutti i costi, la ricostruzione scenica e dei costumi assorbono troppe energie, distogliendole da quella ricerca di verità verso la quale si sta incamminando frattanto la pittura di paesaggio.
Sezione 2 - De Tivoli, Costa e il nuovo sguardo sul paesaggio
Anteriormente al 1856 gli artisti del Caffè Michelangiolo si sono rapportati al paesaggio, in maniera indiretta, attraverso le stampe dello svizzero Calame che ha raffigurato le eleganti vallate della sua terra, le vette innevate, le masse compatte di vegetazione, i burroni, gli alpeggi: una sorta di Arcadia che è apparsa allora come una vera e moderna alternativa alla formula del paesaggio classico. Ben presto ci si accorge, tuttavia, che questa “formula pittoresca” resta indifferente al “contenuto emotivo del quadro”. L’artista cioè si impegna a cogliere i dettagli peculiari e piacevoli dell’ambientazione, senza mettere in gioco il proprio potenziale emotivo e poetico. Lo scenario cambia totalmente con l’Esposizione Universale di Parigi del 1855 che sancisce il trionfo della moderna pittura di paesaggio francese. Di ritorno da Parigi De Tivoli inizia a creare opere in stretta sintonia con l’esperienza dei paesaggisti di Barbizon, dedicandosi allo studio del vero e ottenendo mirabili effetti di naturalezza e di ariosità atmosferica. Il confronto tra Paesaggio con castello e figure – datato 1854– con La questua di due anni più tardi, quando il pittore ha fatto proprie talune morfologie della pittura barbizonniere come i contrasti chiaroscurali più netti e la pennellata non più stesa, ma pulsante, e le fronde degli alberi “bucate” di luce, testimonia questo importante passaggio. È l’arrivo di Nino Costa, tuttavia, a sconvolgere gli animi dei nostri progressisti. Uomo di grande fascino e cultura, patriota fervente, Costa è in grado di indirizzare il gruppo progressista verso un pacato confronto con la natura. Questo indirizzo è ben rappresentato dal grande dipinto Donne che imbarcano legna nel Porto di Anzio e dalla struggente poesia delle piccole tavolette, autentici gioielli caratterizzati da un linguaggio semplice e solenne come Bovi al carro e Dormono di giorno per pescare la notte, quest’ultimo appartenuto a Frederic Leighton. Supportati da Costa, i progressisti iniziano un “assiduo lavoro di demolizione”, come scrive Martelli, perché il dipinto di genere storico fino a quel momento aveva vincolato al “soggetto” la loro libera ricerca, impedendo loro di rapportarsi con semplicità alla natura.
Sezione 3 - Uno sguardo nuovo sulla realtà contemporanea
Al suo arrivo a Firenze nel 1853, il veronese Cabianca si presenta come pittore dedito al quadro di figura, piuttosto disinteressato invece al paesaggio. I suoi dipinti di interno rappresentano per i giovani toscani una certa novità sia per il moderato realismo dei soggetti – interni popolari con scene di vita comune, scelte per offrire al pubblico un messaggio educativo – sia per la ricchezza cromatica. Da queste premesse a partire dal 1855 inizia il graduale coinvolgimento di Cabianca nella sperimentazione della macchia che l’artista traduce inizialmente nelle più nette scansioni di luce che caratterizzano gli interni, poi nell’aprirsi a motivi colti in esterno. Nel 1858 Cabianca dipinge L’abbandonata, opera ricordata dalla storiografia dei Macchiaioli come inaspettatamente rivelatrice delle pulsanti novità maturate dallo storico gruppo in materia di luce. Le qualità formali di questo importante dipinto risolto nel fascio di luce che investe la figura femminile e si fa carico di esprimerne l’umana sofferenza, hanno distolto l’attenzione dal significato intrinseco al soggetto. Cabianca ha tratto ispirazione dal poema di Giovanni Prati Edmengarda, allora di grande successo anche per l’implicito riferimento ad un fatto di cronaca molto scottante, l’adulterio commesso dalla sorella del patriota Daniele Manin, Ildegarda, che con grande scandalo aveva lasciato il marito inglese e i due piccoli figli per seguire l’amante: il dramma si compie quando la giovane donna abbandonata dall’amante si ritrova sola e impossibilitata a rivedere i propri figli che il marito – nel frattempo rimpatriato – ha portato con sé in Inghilterra. Il richiamo alla realtà contemporanea è tanto clamoroso agli occhi dei compagni di Cabianca da contrassegnare un indirizzo di ricerca ben preciso, quello verso la contemporaneità. È lo stesso indirizzo assunto da Signorini all’indomani del soggiorno a Venezia del 1856 e delle prime sperimentazioni di “macchia”, rigettate dalla promotrice fiorentina che avrebbe dovuto esporle, per l’eccessiva violenza del chiaroscuro. Si crea una straordinaria sintonia tra Cabianca e Signorini che dal 1858 in poi conducono insieme campagne pittoriche sulla costa Ligure e nel suo immediato entroterra.
Sezione 4 - I Macchiaioli e il Risorgimento
“Venne il ’59... e dal ’59 fu una rivoluzione di redenzione patria e di arte, e sorsero i macchiaioli”, scrive Fattori. In realtà come abbiamo fin qui raccontato, già da alcuni anni i giovani progressisti conducono le loro appassionate ricerche: la riscoperta della forza del colore e delle potenzialità espressive del “macchiare”, ossia della tecnica di abbozzare dal vero un soggetto senza ricorrere al disegno, fornisce adesso a quei giovani talentuosi l’input per il rinnovamento tecnico dei loro mezzi espressivi; il bisogno di dar voce al sentimento del tempo loro contemporaneo diventa non più contenibile e dunque completa una miscela detonante pronta a esplodere come in effetti esplode nel 1859, quando gli avvenimenti drammatici della guerra fanno irruzione nelle singole vite di quei giovani patrioti, stanando le diatribe artistiche dal chiuso del Caffè Michelangiolo e riversandole nei campi di battaglia dove si compie il destino nazionale e la realtà si fa Storia. Fattori e compagni maturano da questo momento la volontà di contribuire alla nascita di un’arte che sia espressione della neonata nazione e dunque intraprendono ricerche ancora più severe. Definire i Macchiaioli “pittori del Risorgimento” è fuorviante nel momento in cui questa definizione induca a cercare la rappresentazione celebrativa degli eventi patriottici nelle opere di questi artisti: i soggetti propriamente risorgimentali sono numericamente limitati, se si escludono le grandi battaglie fattoriane realizzate su commissione negli anni a seguire. Signorini esegue dipinti di soggetto militare esclusivamente a ridosso della sua partecipazione agli eventi del 1859; di Cabianca si conosce un solo dipinto di soggetto militare, Zuavi in azione, pochi di Lega, nessuno di Sernesi, di Abbati e di Borrani. La pittura macchiaiola non celebra il Risorgimento, bensì si nutre dei suoi valori etici e morali e li trasmette attraverso il tenore alto della forma. Questo è quanto mai vero per i due capolavori di Borrani Il 26 aprile 1859 e Cucitrici di camicie rosse. Opera paradigmatica dell’arte di Fattori e intrisa del più autentico spirito risorgimentale In vedetta (il muro bianco) coglie, nell’individualità del momento e del luogo, l’universalità del sentire patriottico.
Sezione 5 - Il mattino di Cabianca
Nella primavera del 1861, Cabianca espone alla mostra annuale della Promotrice di Belle Arti di Torino il dipinto Il mattino e l’evento è ricordato dalla storiografia dei Macchiaioli come il primo successo ottenuto dalla nuova pittura. L’artista dà prova di aver superato le asperità insite nella prima sperimentazione della “macchia”, approdando con quest’opera di dimensioni ragguardevoli, a una visione del vero più pacata e regolata dai valori della luce atmosferica. Da allora de Il mattino si erano perse le tracce sino al recente ritrovamento in una privata collezione. La prima idea risale all’autunno del 1859, al viaggio esplorativo compiuto da Cabianca con Banti nel nord Italia, sui luoghi delle recenti battaglie e in una sorta di ricognizione delle terre lombarde da poco liberate; è ambientato nel giardino della casa madre prospiciente il lago di Garda ed evoca il risveglio laborioso e silente di una comunità di suore della carità all’alba di un mattino qualunque. I Macchiaioli hanno particolare familiarità con questo ordine di suore, identificabili per la lunga cornetta bianca inamidata, con due ali svolazzanti che portavano sul capo, e la veste blu, in ragione delle vicende patriottiche: le suore della carità a partire dal 1855 sono presenti nelle retrovie dell’esercito piemontese e poi italiano e hanno il compito di soccorrere i feriti. Il punto di vista ravvicinato ci immette nel giardino cintato del convento e la percezione di uno spazio amplificato ci avvicina ai sommessi dialoghi delle religiose; esse sono avvezze a gioire giorno per giorno dei doni del Signore e così quell’alba meravigliosa si offre loro come un momento di grazia e di serenità che le riconcilia con la natura e con la vita operosa della giornata che le attende. Questa narrazione per quanto intima e garbata non avrebbe evidenza poetica se la luce atmosferica non la pervadesse rendendola viva e palpitante, restituendo ossigeno ai dolci volti pallidi nella fede, muovendo i fili d’erba, indorando i cordoli del giardino, rendendo calpestabili le zolle del povero orticello; e la ritmasse con le nette scansioni di luce ed ombra capaci di restituirci il sentimento del pittore e il suo emozionarsi dinanzi al vero.
Sezione 6 - 1861: l’affermazione della “macchia”
ll successo conseguito a Torino da Cabianca e da Signorini nella primavera del 1861 tempra gli animi dei nostri progressisti e nel corso di quel continuo “ragionar d’arte” che caratterizza le serate al Michelangiolo, nelle settimane a seguire, essi si affiatano in un programma comune. Durante l’estate si disperdono dunque a piccoli gruppi, in luoghi diversi della campagna toscana – Abbati e Signorini con Michele Tedesco ospiti a Castiglioncello di Diego Martelli; Borrani e Sernesi a San Marcello Pistoiese, Cabianca nell’alta Versilia, Fattori a Livorno con Costa – conseguendo i medesimi progressi. Il 1861 segna infatti il il discrimen tra i due tempi della “macchia”, aprendo al decennio aureo, alla stagione della pienezza espressiva, in cui i grandi ideali rifluiscono nell’incanto di un sommesso, privilegiato, pacato dialogo con la Natura. È come se al seguito dei contadini che raccolgono le spighe di grano nel grande dipinto di Odoardo Borrani Mietitura del grano nelle montagne di San Marcello, i nostri pittori guadagnassero il crinale di quello sperduto altopiano dell’Appennino e godessero il privilegio della luminosità limpida, di quel nitore lenticolare attraverso il quale l’animo par percepire il palpito vitale dell’universo. Uno stato d’animo non dissimile origina la veduta dei pascoli a San Marcello di Raffaello Sernesi in Pastura in montagna. Nella purezza del disegno l’atmosfera rarefatta quasi si cristallizza ed esalta la bellezza del cielo terso, di un azzurro profondo. Questo è il nuovo orientamento estetico affermato anche da Pascoli a Castiglioncello di Signorini, da Contadine a Montemurlo di Banti e da Contadina nel bosco di Fattori. La tematica agreste sebbene prevalente, non è la sola a essere affrontata in questo importante momento della vicenda del gruppo progressista. Vito D’Ancona aderisce all’entusiasmante ricerca dei compagni con la stesura abbreviata, a rapide macchie di luce-colore propria di Signora in giardino, anche Raffaello Sernesi, reduce dalle rarefatte situazioni atmosferiche dell’Appennino dipinge una piccola, prodigiosa opera, quei Tetti al sole, definita da Emilio Cecchi (1927) “a un tempo in sembiante ligia al vero e potentemente astrattiva”.
Sezione 7 - Cabianca e Signorini in Liguria e nell’alta Toscana
A partire dall’estate del 1858 Signorini e Cabianca compiono campagne pittoriche in Liguria, attratti dalla luce forte che irrora di ombre la costa alta di quel litorale, finendo per essere assorbita dalla distesa marina a cui conferisce quella nota di blu profondo così amata dai nostri pittori. Della svolta impressa dai toscani alla loro ricerca scrive Cecioni: “Nel 1860 [Cabianca] andò col Banti a raggiungere il Signorini alla Spezia, e là questi tre artisti si sfogarono a trattare gli effetti di sole, dipingendo delle donne portanti delle brocche d’acqua in capo, quando di tono sul mare, quando sotto l’ombra di un arco col sole in fondo e sul davanti del quadro; e a forza di studii, lavori e tentativi arditissimi fecero, in tutto il tempo passato alla Spezia, un vero progresso”. Ne Le acquaiole di Signorini le donne che conversano a ridosso di un arco, avvolte nelle pieghe profonde delle vesti, solide come le scanalature di una colonna, risultano come plasmate dalla luce. La veemenza della ricerca signoriniana, trova nei quadri Cabianca di analogo soggetto, una intonazione più meditata e riflessiva. Sulla via per la Liguria, sulla spiaggia di Carrara Marina, Cabianca ambienta nel 1861 uno dei suoi dipinti più importanti, Marmi a Carrara Marina, ove tra una cortina di candidi blocchi di marmo e una vasta campitura lapislazzuli, così tersa da inghiottire nel suo splendore di luce vanescenti striature di nubi, si situa il saluto di una donna e del suo bimbo a una piccola imbarcazione dalla vela gialla che s’allontana appesantita; il punto di vista ribassato ha ridotto la vastità del mare a una sottile e lontana striscia color petrolio, mentre l’arenile con i suoi caldi toni ocra accoglie le tracce del duro lavoro dell’uomo e il transito di due tipi da fatica addetti al carico dei marmi. Sul mare di Cabianca raffigura un gruppo di giovani lavandaie che si ritrova sulla riva per ricevere il bacio del sole sui volti arrossati: siamo immessi in una realtà silenziata e come in un sogno la piccola nereide assurge dalla riva con il paiolo di rame in testa, cinta di un grembiule color del mare che le svolazza innanzi; ella avanza verso la compagna che siede assorta sul muretto, il profilo perso nel sole.
Sezione 8 - La “scuola” di Castiglioncello
È il 4 agosto 1861 quando lo sparuto drappello di pittori – Signorini, Abbati e Michele Tedesco – che accompagna Diego Martelli nella prima visita alle sue proprietà, procedendo in calesse lungo la via Emilia, varca le alture di Rosignano Marittimo. Straordinario è lo spettacolo naturale che si presenta alla vista di quei primi visitatori: bovi immobili nella solitudine austera degli altopiani si alternano a casolari sparsi tra la vegetazione; il mare color smeraldo, straordinariamente limpido e trasparente per il singolare effetto dei fondali bassi e della sabbia bianca, nei giorni particolarmente limpidi restituisce alla vista le sagome delle prospicienti isole dell’Arcipelago. In Pascoli a Castiglioncello, dipinto eseguito nella circostanza di quel primo soggiorno sulla costa livornese, Signorini coglie pienamente il fascino e la primitiva bellezza di quel paesaggio dalle tonalità dorate. Il gruppo di lavoro fu operoso a Castiglioncello per quasi un decennio: l’assidua presenza dei pittori e l’omogeneità delle risultanze artistiche ivi conseguite ha perciò indotto la critica ad adottare il termine di “scuola” per la comunità di Castiglioncello. Il connubio tra arte e vita quotidiana, tra semplicità del vivere ed essenzialità dei mezzi pittorici, origina quella essenzialità espressiva così caratteristica della stagione di Castiglioncello: piccoli capolavori capaci di evocare la vastità degli spazi, la libertà di respiro che l’artista prova di fronte alla natura, non più una natura sentita nella sua immanenza, bensì vissuta intimamente, sottilmente indagata per mezzo dei principi armonizzanti del disegno e della luce atmosferica. Sono per lo più paesaggi nudi, di una tessitura serrata, nei quali il riferimento all’individuo è latente, sia che esso appaia, piccolo, spesso anonimo, di schiena, sorpreso nella quotidianità di un gesto o di un’attitudine; sia che esso non compaia affatto, per quanto se ne percepisca la presenza poco distante. La portata rivoluzionaria di queste opere è pari alla purezza della poesia che esse esprimono.
Sezione 9 - Piagentina, scenari fiorentini
Un secondo centro di aggregazione dei pittori Macchiaioli è stata la campagna fiorentina di Piagentina, oggi completamente urbanizzata. Sin dal 1862 essi prendono l’abitudine di recarsi nella campagna fuori porta La Croce, fuoriuscendo dalle mura dalle parti dell’attuale piazza Beccaria, e incamminandosi in direzione della Chiesa di San Salvi e dell’attuale via Aretina tra gli orti e le villette per poi raggiungere, tenendo la destra, l’Arno e l’edificio quattrocentesco detto “la Casaccia”, all’altezza di Bellariva. La città offre una grande varietà di scenari con le rive dell’Arno, con i suoi vicoli urbani pittoreschi e le ripide stradine che ascendono le colline ora in direzione di Fiesole, ora in direzione di San Miniato al Monte. Pur nella unità di poetica che caratterizza la produzione dei Macchiaioli nel corso degli anni sessanta, essa si connota per la diversità d’intonazione che deriva dalla differente qualità del paesaggio. Ragion per cui il confronto con la natura, motivo irrinunciabile della poetica di Castiglioncello, diviene per Piagentina meno essenziale, consentendo a questa seconda “scuola” un indirizzo non univocamente paesaggistico. Anche il formato muta tra le due “scuole” e lo dimostra platealmente il Borrani, passando dalle dimensioni decisamente orizzontali delle sue smaltate “predelle”, adatte a cogliere la forte luce degli orizzonti maremmani a quello più quadrato e imponente di opere come L’Analfabeta. Ma il cantore della quieta atmosfera di Piagentina è soprattutto Silvestro Lega che vi risiede, abitando la villa rustica della famiglia Batelli, innamorato di Virginia. Nell’Educazione al lavoro l’amata è presa di spalle, i lunghi capelli neri raccolti sulla nuca; essa grandeggia austera, mentre il controluce esalta il contorno luminoso della figura, potenziando il candore regale della veste, il profilo materno e la muta corrispondenza di sguardi con la radiosa bambina seduta ai suoi piedi.
Sezione 10 - Il “Gazzettino delle arti del disegno” di Diego Martelli
Sul finire del 1866 il glorioso Caffè Michelangiolo cessa di vivere e viene sepolto con tutti gli onori dai suoi affezionati frequentatori, per lo più reduci dalla Terza guerra d’Indipendenza. Dalle sue ceneri nasce nel gennaio 1867 il “Gazzettino delle arti del disegno”, primo periodico del movimento, fondato e diretto da Diego Martelli, che con la creazione della rivista cerca di predisporre un luogo “mediatico” in sostituzione del luogo fisico – il Caffè di via Larga – entro il quale il dibattito è stato sino a quel momento contenuto. Lo scopo è infatti quello di comprendere personalità e idee non esclusivamente italiane e dunque coltivare un allineamento europeo del dibattito, nel momento in cui Firenze nonostante la sua elezione a capitale (provvisoria) d’Italia sta perdendo a favore di Parigi il ruolo aggregante svolto sino al decennio precedente. Un tentativo, quello del “Gazzettino”, che – affidato alle sole forze finanziarie del Martelli – è destinato tuttavia a breve vita. E’ interessante osservare attraverso la lente del periodico le principali novità che animano l’entourage macchiaiolo. Il rinnovamento del ritratto attuato da Boldini è una novità eclatante: il giovane ferrarese al suo arrivo in città si è avvicinato a Michele Gordigiani, ritrattista di casa Savoia, eguagliandone la bravura nelle effigi degli esponenti dell’alta società internazionale; ma ha altresì inventato un modo più originale e disinvolto di ritrarre in piccoli dipinti i suoi committenti nella dimensione quotidiana della loro esistenza senza rinunciare all’allure del personaggio, conferendogli invece un aspetto estemporaneo e vitale. Non passa inosservato al giornale neppure il passaggio a Firenze di De Nittis che reca con sé il frutto dei suoi studi sul vero nelle campagne pugliesi. Sul finire del decennio la compagine macchiaiola si disgrega e molti dei suoi esponenti trovano una nuova dimensione operativa fuori dai confini nazionali. L’azione benefica del “Gazzettino”, ha contribuito ad accendere quello “sguardo sull’Europa” che non si sarebbe mai più spento.
Sezione 11 - Verso il Novecento
Con gli anni Ottanta il gruppo dei Macchiaioli si trova arricchito della presenza di artisti più giovani. La pittura di questi Macchiaioli di seconda generazione che ha fatto proprie le istanze del Naturalismo internazionale incontra il plauso del collezionismo e del pubblico delle grandi esposizioni. I pittori della vecchia avanguardia macchiaiola tendono a riconoscersi in questo nuovo indirizzo pittorico, dando come inevitabile la naturale mutazione poetica della “macchia”. Lega trova nuovi importanti stimoli dalla frequentazione di artisti più giovani come lo scultore Carnielo, immortalato nel ritratto datato 1878. La produzione dell’ultimo tratto è quasi esclusivamente ispirata alle presenze femminili: da quelle signorili alle più selvatiche fisionomie delle contadine del Gabbro, donne forti, temprate dalla durezza del lavoro nei campi. Viaggiatore instancabile e curioso, Signorini è attratto dal successo ottenuto da De Nittis e Boldini a Parigi, soggiornandovi spesso: ben presto però i luoghi prediletti dalla sua creatività divengono Settignano, Riomaggiore e l’entroterra ligure, l’Isola d’Elba. Nella fase finale del suo percorso approda nuovamente in laguna, richiamato dalla Biennale di Venezia del 1897, ma la luce che avvolge l’amatissima Chioggia è ora del tutto diversa, soffusa, come polverizzata. La materia pittorica sottile imita la consistenza delle tecniche alternative – pastello e acquarello – delle quali peraltro anche Cabianca si serve da tempo. La realtà che Cabianca e Signorini hanno scandagliato con la forza e la determinazione dei loro vent’anni è sempre la stessa, ma la certezza che in essa si contemperi e si esaurisca la finalità dell’uomo e dunque dell’arte, non è più coerente con il sentimento contemporaneo. Di ciò gli anziani Macchiaioli, sopravvissuti agli anni dell’avanguardia, sono consapevoli. A questa consapevolezza Fattori unisce il disincanto, per il venir meno dei valori risorgimentali che hanno improntato l’esistenza della sua generazione. Nel 1901 espone alla Biennale di Venezia Pro patria mori (Il dimenticato) (1900), soggetto lungamente immaginato dopo la drammatica Battaglia di Dogali; una tecnica mista in cui è raffigurato un soldato morto, abbandonato dai compagni e circondato dai maiali che mangiano le ghiande girandogli d’intorno, nella più assoluta desolazione.